venerdì 13 febbraio 2015

Prologo

Cos’è un nome?
Quella che chiamiamo rosa, con un altro nome profumerebbe ugualmente.
Così Romeo, anche se non lo chiamo Romeo,
conserva quelle qualità perfette che gli spettano di diritto.
Romeo cambia nome, e per quel nome, che non è parte di te,
ti do in cambio me stessa.
William Shakespeare

Quattro anni fa…

Tony


«Vuoi bere qualcosa?»
«Ehm. Sì, grazie» mormorai. Avevo la bocca impastata, a stento riuscivo ad articolare le parole.
Calmati! mi sgridò la mia voce interiore.
Stordita, allungai la mano per afferrare il bicchiere ghiacciato che mi stava porgendo. Le nostre dita si toccarono e un brivido mi pervase. Tutta.
Per un istante i miei occhi si incatenarono ai suoi e fu come se mi stessero spogliando completamente. Mi sentivo nuda.
Battei le palpebre e distolsi lo sguardo, il cuore che mi martellava nel petto.
Calmati! Calmati! mi rimproverò di nuovo la mia voce interiore.
Io sapevo che dovevo mantenere la calma, ma era davvero un’impresa impossibile visto che mi trovavo da sola, a tarda notte, nell’appartamento del signor Grei. Cristian Grei.
Okay, gli mancava una «h» e il suo cognome ricordava quello di una cera per pavimenti, ma non sarebbero state certo due lettere insignificanti a fare la differenza.
Mi allontanai da lui, cercando di ritrovare un contegno e soprattutto di ricordarmi che ero fidanzata.
«Hai fame?» mi domandò con voce calda, avvolgente.
Io sussultai.
Sì, di te! avrei voluto rispondere. Invece scossi la testa, cercando di scacciare i pensieri impuri che mi aveva scatenato la sua domanda. Avvampai per l’imbarazzo. Faceva improvvisamente molto caldo, lì dentro. Ma cosa mi stava succedendo? Quella non potevo essere io!
«Bene, perché avevo in mente un’altra cosa da fare con te» mi sussurrò lui, e sul suo volto comparve un sorriso denso di sottintesi che mi fece tremare. «Che ne dici?» domandò, inchiodandomi con lo sguardo.
Deglutii nervosamente. «O-okay» balbettai. Stavo andando a fuoco.
Completamente bloccata dal pensiero di quello che stava per accadere, lo osservai avvicinarsi con una nuova scintilla negli occhi, e il mio cuore perse un battito.
Con studiata lentezza, mi sfilò il bicchiere dalle mani e lo posò sul tavolo, senza mai distogliere lo sguardo da me.
Tremavo.
Davanti a quegli occhi intensi il mio ventre si contrasse all’improvviso. Nel silenzio che seguì, riuscivo solo a sentire il battito forsennato del mio cuore.
«Ti andrebbe di diventare la mia compagna… di giochi?» mi chiese infine con un sorriso ammiccante che mi accese.
Il cuore mi balzò in gola, le mani cominciarono a sudare. Annuii, incapace di parlare.
Lui guardò a terra, prese un respiro profondo e scosse leggermente la testa, come se avesse letto nella mia mente la voglia che avevo di lui. Quando tornò a guardarmi, lo fece con una nuova, incrollabile fermezza.
«Devo avvertirti, però. Quando dico giochi, intendo giochi… particolari» mormorò con una voce bassa, eccitante. «Non so se riesci a capire…» aggiunse, socchiudendo gli occhi.
Oh, Gesù!
Rimasi senza fiato, non potevo credere che stesse accadendo davvero.
«No!» esclamai con voce stridula, quasi un’implorazione. «P-posso capire. Spiegami» farfugliai in preda al panico.
Lui fece un sorriso perverso, che mi fece vibrare tutto il corpo, poi allungò la mano. Debole e stordita, mi lasciai condurre lungo il corridoio. Passammo diverse stanze fino a raggiungere quella in fondo. Cristian inspirò e lentamente spinse la maniglia.
«Non a tutte piace questo tipo di giochi» disse, mentre un’ombra di preoccupazione gli attraversava il viso. «Ne sei sicura?»
Me lo chiesi anch’io. Non avevo mai avuto simili esperienze: non sapevo nemmeno se ne ero capace. Una strana paura mista a eccitazione mi assalì. Non avrei nemmeno dovuto pensarci. Però, incendiata dal suo sguardo ardente, risposi con un timido: «S-sì».
Lui sorrise soddisfatto e indietreggiò di un passo per lasciarmi entrare.
Il mio cuore parve fermarsi. Nella penombra riuscii solo a distinguere la sagoma di un grande letto e di un divanetto in pelle vicino alla porta. Sentii il sangue ribollirmi nelle vene. Un desiderio sconosciuto risvegliò le parti più profonde di me.
Calmati! Calmati! La mia voce interiore cercava invano di essermi di aiuto.
Mi voltai a guardarlo, divorata dalla curiosità e dal terrore di quello che si nascondeva in quella stanza, finché non mi feci coraggio ed entrai.
Cristian accese la luce e per qualche istante faticai a mettere a fuoco quello che avevo davanti. Vicino al letto c’era una torre di vestiti spiegazzati che pendeva sopra quella che in teoria doveva essere una sedia. Il pavimento era cosparso di lattine vuote. La parete di fronte era interamente coperta di mensole con action figures di supereroi e alla mia destra c’era un’intera libreria piena di fumetti. Sulla scrivania erano appoggiati due portatili, dei joystick e alcune consolle. Davanti al divanetto troneggiava lo schermo più grande che io avessi mai visto.
Ero scioccata.
«Bene. Questa è la mia stanza dei giochi!» esclamò Cristian orgoglioso. E poi si ribaltò sul divano e accese la PlayStation.

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